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Yashar kemal il canto dei mille tori traduzione di claudia

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Yashar Kemal
IL CANTO DEI
MILLE TORI
TRADUZIONE DI CLAUDIA ZONGHETTI

Giovanni Tranchida Editore
anno 2001
isbn 8880032445
formato 14x21 brossura
pagine 398
condizioni pari al nuovo

<<Grande, grandissimo è il dolore di chi ha solo un passato.>> Gli Yoruk, le genti nomadi dell'Anatolia, sono come l'erba che cresce in cima a una rupe e si aggrappa alla pietra stringendola tra le radici. Un tempo le loro tende di crine scendevano dalle montagne come stormi di aquile nere venute a posarsi più a valle. Ora sono rimasti in pochi a cercare un pascolo per l'estate in quella che da sempre era la loro terra, a chiedere - in punta di piedi, delicati e lievi come sanno esserlo solo coloro che hanno un cuore nobile - un angolo dove far pascolare  le greggi e non morire. Quello con gli aga, i bey e i semplici contadini che li cacciano inesorabilmente è uno scontro spigoloso come le rocce che li circondano, aspro come le terre che li assediano senza scampo, disperato come può esserlo chi vede assottigliarsi giorno dopo giorno la propria gente. E' un'epopea della sopravvivenza, quella de Il canto dei mille tori. Di una sopravvivenza, in equilibrio tra tradizione e realtà, tra il cielo e la terra, tra le magie della notte di Hidirellez - la notte in cui le stelle si incontrano ed esaudiscono qualunque desiderio,la note della luce, dei mille occhi protesi verso il cielo - e il fango dell'interminabile cammino degli Yoruk, affamati, stremati, con gli occhi bassi, fissi sui ciottoli del sentiero. Ed è un'epoca ricca di personaggi indimenticabili. Come Haydar Usta dalla lunga barba color del cuoio, Don Chisciotte dalle mani callose sempre avvolto nelle faville della sua fucina e convinto che la spada che forgia da tutta una vita risolverà ogni questione. Come il piccolo Kerem, che reagisce al sopruso e lascia la tribù per riprendersi il falchetto che gli è stato sottratto. Come Ceren, la bella tra le belle, Ceren l'altera, Ceren la caparbia, con il suo amore sconfinato per Halil. Come Suleyman Kahya, messo capotribù, triste ombra della gloria di un tempo. E lo sfondo non può che essere la Cukurova di Kemal, con le sue montagne affilate, i suoi cieli senza fine, le sue passioni senza mezzi toni, rosse come sono rossi i serpenti quando si innamorano.

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